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lunedì 2 giugno 2008

La Carta

La Carta


Il luogo preciso in cui nacquero le prime cartiere ancora non si conosce. E' sicuro che, essendoci contatti tra gli amalfitani e gli arabi, sia giunta per prima proprio ad Amalfi la "bambagina", cioè la carta realizzata con ritagli di cenci. Questa denominazione deriva dalla città araba El-Marubig, che aveva il monopolio della produzione.

In un decreto Federico II (morto nel 1250) vietava alle curie di Napoli, di Sorrento e di Amalfi di adoperare la carta bambagina per la stesura degli atti pubblici. Imponeva l'uso della pergamena perchè era più durevole.

La carta fu lavorata a mano fino al 1700 quando, con l'industrializzazione, si passò a lavorarla con le macchine.

Alla fine del XVIII secolo esistevano sedici cartiere attive, di cui oggi funzionano solo una decina.
Nella Valle dei Mulini, di Amalfi, c'è il Museo della Carta a mano. E' costituito da un'antica cartiera e da una biblioteca con circa 3.000 testi sulle origini della carta.

Varie erano le fasi per la lavorazione della carta.
La materia prima era costituita dai cenci di cotone, lino e canapa, raccolti in vasche di pietra dette “pile”, triturati e ridotti in forma di poltiglia con martelli di legno (maglio), alla cui estremità erano sistemati dei chiodi in ferro. La forma e le dimensioni di questi chiodi determinava la consistenza della poltiglia e lo spessore dei fogli di carta.

I martelli si muovevano grazie alla forza dell'acqua che, cadendo su una ruota a contropeso (rotone), azionava un albero di trasmissione (fuso).

La poltiglia preparata veniva raccolta in un grande recipiente ricoperto di maioliche. In esso si metteva la “forma”, che aveva la bordatura in legno (cassio) e la filigrana nel mezzo, costituita da una fitta rete di fili di ottone o bronzo. La filigrana conteneva i marchi di fabbrica, che contraddistinguevano i vari cartari. Questi marchi, visibili in controluce, rappresentavano simboli civici, araldici e religiosi.

I fogli più antichi, del XIII e del XIV secolo, avevano lo stemma della città o la croce ad otto punte e gli emblemi di famiglie antiche.
La poltiglia, una volta attaccatasi alla forma e scolata l'acqua, veniva trasferita su un apposito feltro di lana. Si realizzava così un mucchio di fogli di carta molto umidi, a cui si alternavano altrettanti feltri di lana. Il mucchio veniva pressato da un torchio di legno per far fuoriuscire l‘acqua.




Successivamente i fogli di carta venivano staccati uno per uno dai feltri e portati nello “spandituro” per essere asciugati, attraverso le correnti d'aria. Ecco perchè gli spanditoi erano costruiti nella parte più alta della cartiera. Alla fine i fogli venivano stirati e raggruppati in pacchi nella stanza dell’ “allisciaturo”. Nel XVIII la pila a maglio fu sostituita dalla “macchina olandese”. In questo modo, la poltiglia era più raffinata e la produzione aumentava. La nuova macchina presentava grossi cilindri metallici, sui quali erano attaccate le filigrane. La pressione dell’acqua, che scorreva attraverso condutture in muratura, attaccava la poltiglia alle filigrane. La poltiglia si staccava e passava attraverso due rulli feltrati per l’eliminazione dell’acqua.
I fogli di carta venivano preasciugati con una caldaia a vapore. La carta così prodotta a fogli veniva messa ad asciugare ulteriormente negli spanditoi.

La carta veniva adoperata per i documenti del ducato, delle sedi vescovili, delle parrocchie e per scrivere atti notarili. Era usata nelle corti degli Angioini, degli Aragonesi, del Vicereame Spagnolo e nella corte Borbonica.

Quella di Amalfi era molto pregiata e ricercata. Oggi è usata per le partecipazioni nuziali, per i battesimi, per le prime comunioni, per depliants e per redigere opere importanti. Anche lo Stato del Vaticano utilizza la carta di Amalfi per la sua corrispondenza. Si può assistere al ciclo di lavorazione della carta visitando la Cartiera Amatruda.

IIa Parte

La scoperta della carta tra leggenda e realtà


La scoperta della carta segnò una delle più fulgide pietre miliari nella storia della civiltà umana; questa scoperta è universalmente attribuita ad un ministro cinese di nome Ts’ai Lun, nel 105 dopo Cristo. Si narra che Ts’ai Lun si trovava sulle rive di uno stagno accanto ad una lavandaia che stava sciacquando nell’acqua alcuni panni piuttosto logori. I panni, mal soffrendo l’azione di strofinio e di sbattitura, si sfilacciavano e le fibrelle galleggianti sull’acqua andavano a riunirsi in una piccola insenatura ai piedi di Ts’ai Lun.

Sul pelo dell’acqua si formò dopo qualche tempo, un velo di fibrelle ben feltrate che Ts’ai Lun osservò, raccolse con delicatezza e pose a seccare sull'erba. Il foglio secco e avente una certa consistenza, bianco, morbido, diede a Ts’ai Lun la grande idea, quel foglio poteva ricevere la scrittura.Il cammino che l’arte di fabbricare la carta compì dal luogo di origine attraverso il mondo, fu relativamente veloce. Mentre verso oriente attraverso la Corea giunse in Giappone nel VI secolo dopo Cristo, verso occidente giunse in Arabia e si affacciò al Mediterraneo.La nuova arte per le sue peculiari qualità ebbe successo e nel volgere di poco tempo sostituì la lavorazione del papiro.




La materia originariamente utilizzata per la produzione della carta cioè il gelso, fu sostituita dal bambù con opportuni trattamenti. Furono poi adoperati il lino, la canapa, i cenci. Ciascun cartaio aveva i suoi procedimenti, le sue, formule, i suoi segreti. Ma non solo il cartaio coadiuvato generalmente dal suo nucleo familiare, era l’artefice di questa lavorazione; anche il letterato, lo scrittore, il copista, e il pubblico scrivano si fabbricavano da sé la carta, tanto era divulgato il procedimento e semplici gli arnesi per la realizzazione. In pratica infatti il procedimento era rimasto tale e quale i Cinesi l’avevano tramandato. Spetta alle popolazioni italiane il merito di aver compiuto i primi passi verso una produzione per così dire più industriale. Molte operazioni puramente manuali furono meccanizzate, sia pure con i mezzi rudimentali allora conosciuti, a vantaggio della produzione e dei costi.


Tre momenti dell'arte di fabbricare carta in Cina


Tra i primi centri dove si scoprì nel XII e XIII secolo l’esistenza della carta, se si vogliono dare per scontate le notizie contenute negli atti notarili che parlano dell’esistenza di prodotti cartacei, pur non specificando se questi venivano importati da altri posti e commerciati nelle sopra menzionate località, vi furono i territori delle Repubbliche Marinare; Amalfi, Pisa, Genova e Venezia che avevano fondachi sia in Siria, sia sulle coste della Palestina, ove erano appunto situati i maggiori centri per la produzione di carta.
Queste Repubbliche, inoltre, intrattenevano intensi rapporti commerciali con l’oriente e avrebbero potuto imparare dagli orientali l’arte di fabbricare carta senza troppe difficoltà, oppure non è da escludere che a bordo delle “galee”, che in epoca medievale facevano la spola tra le nostre coste e la Terra Santa per trasportare crociati e mercanzie, si siano imbarcati “Magistri in arte cartarum” i quali come mano d’opera specializzata abbiano introdotto tale tipo di lavorazione. Amalfi la più antica delle repubbliche marinare già nel IX secolo aveva propri fondachi sia a Palermo che a Messina e a Siracusa, ove l’amalfitania è ancora oggi presente nella toponomastica locale. Annosa resta la questione sul primato della carta in Italia e quindi in Europa ed a contenderselo sono principalmente Amalfi e Fabriano.

A sostegno della tesi che vuole Amalfi come la prima città ad aver introdotto tale tipo di lavorazione si schierano autorevoli storici come Matteo Camera il quale nel volume “Istoria della Città e Costiera di Amalfi” scriveva “Egli è indubitato che la manifattura della carta da scrivere, sia di papiro o della così detta bambagina, risale al XIII secolo fra noi; ed essa fu lungamente una delle principali industrie di Amalfi.”
Senza voler entrare nel merito di una così nobile contesa quello che è importante sapere è che ad Amalfi si sviluppò una vera e propria industria cartaria che vide in breve tempo nascere e svilupparsi innumerevoli cartiere che hanno contribuito a rendere questo paese famoso in tutto il mondo per la sua pregiata produzione cartaria. La maggior parte delle Cartiere furono impiantate lungo la Valle dei Mulini.

La suggestiva valle è stata descritta e decantata da scrittori, come Henry Longfllow, e ritratta da artisti di ogni tempo, come l'Amalfitano Pietro Scoppetta, il cui acquerello si ammira nel museo di Capodimonte di Napoli. Questa la descrizione che ne dava ai primi dell'ottocento lo scrittore Karl Friedrich: "Condutture di acqua sorgono lungo il pendio sotto la roccia che inarca come una grotta, o sono aderenti alla parete della roccia.

I letti dei fiumi sono spesso coperti da larghi pergolati di viti. All'ultimo angolo la valle sembra essere chiusa da un edificio a più piani di una fabbrica, dove si produce la carta". Attraverso questa valle scorre il fiume Canneto, sorgente dai monti Lattari, che attraverso una serie di canali sotterranei che corrono parallelamente ma distintamente al corso naturale del fiume costituiva la forza motrice dei macchinari necessari per la produzione della carta.

All’epoca della formazione del catasto onciario, che costituisce la più interessante e in pari tempo, almeno finora, la più completa documentazione per il 1700, erano in attività nel centro cittadino 11 cartiere della capacità di 83 pile (vasca di pietra in cui si pestavano i cenci per farne carta). Alcune di esse erano dei grandi complessi, con “spandituri” (locali con ampie finestre e numerose fenditure, adibiti all’essiccamento della carta disposta su filari longitudinali); altre invece di più modeste dimensioni.La materia prima impiegata per la produzione di carta erano gli stracci, che oltre ad essere raccolti nelle strade delle contrade limitrofe ad Amalfi, veniva anche da fuori.





Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.

Le cartiere per la loro ubicazione erano soggette ai danni delle alluvioni nei mesi piovosi, e alla mancanza di acqua in quelli di siccità. Nel primo caso, l’acqua con cui lavoravano si accompagnava a detriti; nel secondo, la scarsa quantità di acqua non era sufficiente “a battere tutte le pile” e quindi era necessaria una turnazione. Le complesse e gravi vicissitudini storico – politico – sociali e soprattutto l’industrializzazione diedero un fortissimo colpo a questa, come alle altre piccole industrie amalfitane, che non poterono stare al passo dei tempi.

Al lento, ma progressivo declino influirono diverse cause: la ubicazione della Valle dei Mulini, suggestiva quanto mai, ma aspra e ristretta e, quindi, mancante di facili vie di comunicazione, mediante un reticolato stradale o ferroviario con i grandi centri; la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e dello smercio del prodotto, non competitivo con quello di altre più moderne ed attrezzate industrie; la mancanza di acque abbondanti dei fiumi a regime costante, fattore questo dominante per l’alimentazione delle fabbriche e il mancato ammodernamento delle attrezzature. Queste deprimenti cause costrinsero diverse cartiere a smettere il lavoro.

Dello stato molto critico e difficile, si fecero interpreti alcuni lavoratori con una supplica al Re per implorare aiuto. Egli rispondeva in questi termini: “Le lacrime dei nostri figli, proprio della bassa gente…..giungono ormai a Noi….Le tante macchine che l’uomo usurpatore e perspicace ha saputo inventare e ne inventa tutto dì, sono quelle che tolgono pane dalla bocca dei nostri fedeli sudditi nell’intero Regno …”.

Nonostante tante difficoltà, i cartai amalfitani, impiegando spirito di sacrificio, tenace volontà e laboriosità, continuarono la produzione in virtù soprattutto della tradizione. generazione in generazione, da padre in figlio, conservando sempre quella intraprendenza insita nel loro carattere. L’ultimo e tremendo colpo al tracollo dell’industria cartaria fu la catastrofica alluvione del novembre 1954. Essa distrusse la maggior parte delle cartiere.Delle sedici ancora in attività all’epoca della catastrofe ad Amalfi, ne rimasero soltanto tre. Quella di Amalfi non è stata, né poteva essere una media o grande industria; ma ha avuto sin dalle origini, il carattere di artigianato, come in altri campi, di una industria per lo più familiare e proprio questo è vanto e maggior titolo dei cartai di ieri e oggi. Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.

Le cartiere per la loro ubicazione erano soggette ai danni delle alluvioni nei mesi piovosi, e alla mancanza di acqua in quelli di siccità. Nel primo caso, l’acqua con cui lavoravano si accompagnava a detriti; nel secondo, la scarsa quantità di acqua non era sufficiente “a battere tutte le pile” e quindi era necessaria una turnazione. Le complesse e gravi vicissitudini storico – politico – sociali e soprattutto l’industrializzazione diedero un fortissimo colpo a questa, come alle altre piccole industrie amalfitane, che non poterono stare al passo dei tempi.

Tratto da "Evaluna" moderatrice in "dasposeperspose forum online" prima parte e da museodellacarta.it, per la seconda e ultima parte

sabato 29 marzo 2008

il niente, per il niente

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Partirono in 10 dalle roventi regioni del Sud Africa.
E’ un posto che non immagini neppure. Non è solo per il sole che ti toglie il respiro e le forze. Ciò che brucia è quello che non vedi, arriva all’improvviso e ti trucida davanti alla famiglia, mentre dentro pensi con le ultime forze che alla fine dello spettacolo nessuno si salverà. La povertà che c’è lì, nelle periferie delle periferie, non ha nome. Non si può spiegare, quando se resti sai, che non puoi sopravvivere. Prima finisce il cibo, poi ti ammali nella sporcizia, malaria e ogni altro nero e invisibile nemico delle cellule umane; poi smetti anche di bere, perché è tutto veleno, marrone rossastro di argilla sabbiosa e escrementi. poi scappi, da un posto all’altro ridisegnando figure senza senso, fatte di panni e giornali lerci e pentole arrugginite: desolazione. Ricostruisci il niente, per il niente.
Chissà quanti ne avevano persi tra genitori, figli, amici, o semplici conterranei, quei dieci… quando decisero o più semplicemente quando iniziarono a camminare, via.

CLJr

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